I Complessi a Tonalità Affettiva
Che cos’è un complesso? Con i suoi Studi sull’associazione verbale [1904-1906], Jung arrivò alla scoperta di quelli che definì “complessi a tonalità affettiva”, ossia una serie di rappresentazioni investite emotivamente, parti psichiche della nostra personalità che si sono scisse e funzionano in modo autonomo.
Un complesso può attivarsi in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, condizionando il nostro atteggiamento cosciente e il nostro modo di percepire la realtà circostante. L’origine di un complesso può essere un trauma o qualcosa di simile, può fondarsi in conflitti inerenti la prima infanzia o in conflitti attuali.
Secondo la psicologia analitica, essi costituiscono la struttura dell’inconscio. L’intera psiche umana è basata sui complessi, il che indica che essi non possiedono solo caratteristiche patologiche ma sono indispensabili per un sano sviluppo psichico. Tutti gli uomini possiedono dei complessi, “qualcosa di disarmonico, di non assimilato, di contrastante, che forse è un ostacolo ma anche uno stimolo a compiere un più grande sforzo. Sotto questo aspetto i complessi sono perciò proprio il nucleo centrale della vita psichica e non devono mancare, altrimenti l’attività psichica cadrebbe in un fatale letargo” [Jung, 1928].
In una psiche sana, i complessi sono tutti interconnessi, in continua relazione tra loro. Un complesso diventa patologico se e quando assorbe un’eccessiva energia, tale da sottomettere e costringere l’Io cosciente ad azioni potenzialmente pericolose che non compirebbe mai in situazioni normali.
“Un complesso agisce come un corpo estraneo nello spazio cosciente. Ha una propria compiutezza e totalità e un alto grado di autonomia. Presenta in generale l’immagine di una situazione psichica disturbata, a tonalità vivamente emotiva e che si rivela incompatibile con l’abituale stato di coscienza o con l’abituale atteggiamento. Il complesso è una potenza psichica di fronte alla quale cessa talvolta l’intenzione cosciente, la libertà dell’Io” [Jung, 1934].
Una semplice conoscenza razionale di possedere un complesso non è sufficiente a modificarlo ed elaborarlo: il complesso esiste, ne siamo posseduti e spesso tendiamo a reprimerlo o a rimuoverlo. Il più delle volte, il complesso può essere noto alla coscienza solo in forma intellettuale, mentre resta rimossa la sua componente affettiva. La persona, quindi, può essere consapevole di avere un complesso ma non è capace di dissolverlo, restando così sotto la sua influenza. È il grado di energia in possesso del complesso a determinare il suo grado di patologia. Può capitare che il complesso sia inconscio ma non particolarmente carico di energia, per cui può manifestarsi attraverso sintomi limitati che non vengono percepiti dal soggetto come patologici. Diversamente, l’energia in possesso del complesso può essere tale da configurarsi come un secondo Io in antagonismo con l’Io cosciente, condizionando, fra l’altro, la capacità del soggetto di prendere delle decisioni. In altri casi, il complesso può possedere un grado talmente alto di energia da sottrarsi totalmente alla psiche e tale da presentarsi come una personalità parziale del tutto autonoma. Quando il complesso è totalmente inconscio, può essere proiettato nell’ambiente esterno attraverso la proiezione, un meccanismo difensivo secondo cui il complesso appare al soggetto come una caratteristica propria di un’altra persona, piuttosto che come caratteristica personale: tutto ciò che viene rifiutato come parte di sé, viene proiettato e addebitato all’esterno.
La terapia non mira alla dissoluzione di un complesso ma ad una sua sana collocazione all’interno della psiche e alla creazione di un ampio rapporto del complesso dell’Io con gli altri complessi presenti.
Dott.ssa Stefania Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento junghiano